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Paura di vivere e di distruggere la mia relazione

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260212

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Paura di vivere e di distruggere la mia relazione Empty Paura di vivere e di distruggere la mia relazione




Ciao a tutti, mi chiamo Marco e ho 22 anni. Scrivere qui la storia della mia vita sarebbe impossibile.
Vi dico solo che sono un ragazzo omosessuale e sono fidanzato quasi da due anni. Ho avuto un passato abbastanza travagliato:
madre affetta da poliomielite, depressa, malata fisicamente sotto molti aspetti e ormai allettata da 2 anni benché abbia solo 50 anni;
padre col quale non ho mai avuto chissà che rapporto, anzi... né lo vedo, né lo sento più da 3 anni dopo la separazione dei miei avvenuta 6 anni fa;
prima che mi scoprissi gay, ho sempre condotto una vita nell'ombra di mia madre. Quando mi sono scoperto come individuo differente da lei, il suo essere limitata sotto molti aspetti e l'essersi appoggiata a me in tutto e per tutto poiché le sono rimasto solo io in vita ha scaturito in lei gelosia e il nostro rapporto è quasi in frantumi.
Ho forte difficoltà a rapportarmi con gli uomini. Ho una personalità molto complessa. Sono stato da 3 analisti ma ho lasciato le terapie perché nessuno sembrava centrare il problema, o forse ero io troppo codardo da volerlo risolvere.
Il problema è questo: io mi odio. Sin da piccolo ho sempre coltivato fissazioni dalle più 'sensate' alle più illogiche, pronte a minare la mia scarsa sicurezza. Fin quando però minavo me stesso, no problem. Ho sempre adorato crogiolarmi. Da quando sono fidanzato, le mie fissazioni si concentrano tutte sul mio ragazzo, Alfredo. Lui lo sa, mi ascolta, gliene parlo e mi comprende sempre. Ma io mi sento terribilmente in colpa. Nel tempo mi sono accorto che benché i contenuti delle mie fissazioni avessero ormai trovato una spiegazione razionale, la mia abitudine a farmi 'trascinare' dall'ansia che mi procuravano mi portano ancora nel presente a stare male. Ë così che tempo di rivivere certe situazioni, circostanze, momenti... sì, perché spesse volte mi collegano a esperienze (mentali) passate tristi, e ormai mi sono autoconvinto che se se in passato ho ceduto su date cose, continuerò a farlo.
Scusate il mio essere prolisso. Vorrei poter essere più chiaro, quindi vi riporterò dei passi del mio diario qui... così capirete un po' su cosa vertono le mie angosciose fissazioni. Vi giuro, più di una volta mi hanno portato a pensare alla morte. Scrivo questo diario da 3 mesi. Mi aiuta molto 'vomitare' ciò che sento dentro. MI riscuso per la lunghezza del post. Spero che qualcuno lo legga. Sono... disperato. So benissimo che forse nessuno leggerà fino in fondo, ma riportare alcuni passi del mio diario era forse il modo migliore per farmi conoscere. Grazie a chi avrà la pazienza e la voglia di leggere tutto. Ciao ...

24 dicembre:
Che strana la mia paura (una fra le mille che ho): rileggere dopo mesi e mesi qualcosa di davvero triste, potrebbe poi riportarmi ad esserlo di nuovo? In poche parole, rivivere attraverso delle righe le paure che vivevo un tempo, potrebbe portare a spaventarmi al punto tale da far ritornare quelle paure nel presente? Che idiota che sono. A causa di questo mio problema, in passato, mi sono sempre rifiutato di entrare nei dettagli durante i miei sfoghi. Quello che avrebbe dovuto essere un luogo in cui avrei potuto finalmente essere me stesso, è diventato alla fine, - come sempre - un luogo in cui lo sono stato solo a metà.

Conduco come ben sai una vita di merda e le uniche occasioni in cui ho la possibilità di distrarmi, di rilassarmi, di godere degli effetti benefici della sua persona e dell'amore che mi dà... io cosa faccio? Devo sempre mettere sotto stress il mio maledettissimo cervello e crearmi nemici interiori quando sto in sua compagnia.


29 dicembre:
Parlando con Alfredo per l'ennesima volta sono arrivato ad un'osservazione interessante. A volte, comprendere i propri problemi non significa per forza saper trovare dei rimedi che mettano loro fine. Proprio come l'obeso che riconosce di pesare troppo e che potrebbe perdere la vita in qualsiasi momento, non sempre riesce però a dire "basta", a cercare una volta e per tutte di darsi da fare affinché ripristini il suo peso ideale ed eliminare quell'eccedenza di grasso.

30 dicembre:
In questi giorni riflettevo sul fatto che in generale tendo a creare con persone e/o situazioni dei rapporti di dipendenza. Non essendo ancora capace quasi per nulla di essere autonomo (soprattutto mentalmente), tendo a legarmi a tutto ciò che mi dà sicurezza ma... paradossalmente tendo a dipendere anche da tutto ciò che mi fa star male, ergo i miei problemi. Questo perché? Rispetto a quest'argomento, la mia analista mi disse la sua: la mia tendenza al non voler chiudere situazioni positive (e quindi anche quelle negative) corrisponde proprio al mio essere incapace di responsabilizzarmi. Per una vita intera ho scaricato quasi del tutto i miei doveri agli altri, dando quasi del tutto a loro il libero arbitrio della mia esistenza. Decidere per conto mio mi faceva male, mi innervosiva, mi portava troppo stress e, cosa più importante, mi consentiva di non crescere, di rimanere bambino. Da ciò cosa deriva? Deriva di conseguenza un non saper gestire la mia persona e quindi anche i miei moti interiori, belli o brutti che siano. Non riesco ad avere il pugno forte di perseguire dati obiettivi o di chiudere situazioni a dir poco penose, proprio perché ho sempre avuto la (s)fortuna di poter scaricare sugli altri queste responsabilità che in teoria spetterebbero a me!

Solo nel momento in cui mi staccherò dalle mie vecchie cattive attitudini e dal mio dipendere dal passato potrò davvero formare in tutti i sensi la persona che sono. Sì, perché non posso continuare anagraficamente a crescere mentre la mia mente rimane lì, ferma in un angolo buio e tenebroso di chissà quale epoca passata, pronta a farsi flagellare dai mille orribili scheletri che mi porto appresso.


2 gennaio:
Ho il terrore di svegliarmi un giorno e scoprire che tutto l'amore che nutro per Alfio era solo un bluff, un qualcosa che è nato e che si è dissolto senza che me ne potessi accorgere chiaramente. Allora da questo angosciante quanto irrazionale pensiero, intravedo un me che, lasciandolo (perché non mi reputerei degno di stare vicino a un così bravo ragazzo che per quasi due anni si è fatto ingannare dal qui presente), immagina il senso di distruzione interiore che gli provocherei, l'abbandono che subirebbe, i suoi sogni infrangersi uno dopo l'altro. Immagino le nostre mani separarsi, i nostri sentieri di vita dividersi, il cocente smacco che causerebbe quest'addio ad entrambi (ma soprattutto a me che sarei stato il carnefice), le nostre mille promesse dissolversi, il non poterci più sentire, toccare, sorriderci, confidarci a vicenda, vivere per la serenità dell'altro. Vedere accantonati, dimenticati per sempre i nostri ricordi e credere di poter rappresentare per lui, una volta smaltito il dolore procuratogli, l'essere peggiore che abbia mai conosciuto.

Ecco cosa accade:

- Mi sento rilassato, sereno, lo osservo e sono felice. Le emozioni sono qualcosa di spontaneo, non bisogna "procurarsele" con la forza, con ostinazione. Mica sono a comando! Sono automatiche e si "attivano" quando l'esterno ti dà gli stimoli giusti. Il pensiero assurdo che non si attivino a comando, però, mi inquieta. Comincio a pensare che qualcosa non va, che non è normale il "non aver sentito nulla". Genero quindi una paura. A volte, invece, nonostante io non mi applichi su questa cosa, la genero comunque perché una vocina mi sussurra: "No, no, no! E cos'è sto fatto? Qui le cose stanno andando fin troppo bene. E se all'improvviso si rovinasse tutta quest'atmosfera?"
- Le suddette paure creano allora mostri interiori che hanno tutta l'intenzione di perseguitarmi.
- I messaggi che i suddetti mostri vogliono inviarmi sono due: il primo (e il meno attendibile) mi suggerisce che l'amore che sento per Alfredo potrebbe esaurirsi totalmente nell'istante in cui questa perfida creatura dovesse decidere di mettere in pratica la pocanzi citata crudeltà. Come un cassino, minaccia di cancellare all'improvviso i miei sentimenti dalla lavagna del mio cuore. Il secondo mi suggerisce, invece, che l'angoscia (che io mi procuro) non è l'irrazionalità che io credo sia, non è una forma di ansia data dal timore che possa accadermi interiormente qualcosa di terribile all'improvviso. Quest'angoscia, altri non è che uno specchio rivelatore in grado di farmi scoprire magicamente che tutto quello che io reputo irrazionale è in realtà un comodo modo per evitare di ammettere a me stesso che non amo più Alfredo, che mi sono rotto il c***o di lui e che fondamentalmente non ho più bisogno della sua presenza nella mia vita.
- Nel momento in cui questi funesti pensieri prendono praticamente il comando del mio cervello, do di matto. Ecco che allora, se me lo trovo davanti, comincio ad osservarlo con occhi diversi. Sì, comincio a scrutarlo per dimostrare alla mia paura (che nel frattempo non reputo più tale, bensì entità maligna stabilitasi nel mio cervello pronta a farmi del male) che i suoi messaggi sono fasulli; allora la sfido, e così inizio a scrutare i dettagli estetici del viso di Alfio, le sue espressioni, le movenze, insomma, tutto quello che - fino a 5 secondi prima che cominciassi ad agitarmi - mi emozionava di lui. Puntualmente perdo perché il messaggio che recepisco è: "Oddio, non mi emoziono più quando *esempio* lo guardo negli occhi! Ma... ma... fino a 5 secondi facevano stare così bene!" Allora come un pazzo comincio mentalmente ad allontanarmi dalla sua persona (e lo lascio da solo...) e comincia la vera e propria battaglia contro il mio male interiore: a mo' di gara, comincio a osservargli ancora una volta tutto quello che c'è da osservare; se prima ho perso, stavolta non posso permettermi di fallire di nuovo. Devo dimostrare a quella stronza che io non prendo per il c**o Alfredo. La mia agitazione allora comincia a crescere sempre di più, lui parla ma io non lo ascolto del tutto. Vedo solo di fronte a me un campo di battaglia, una guerra che però perderò in partenza. Oltretutto, osservarlo fino allo sfinimento manco mi porta a risolvere nulla perché più lo scruto e più sembra di non sentire più nulla (quando in realtà il "non sentir nulla" significa aver spazzato via le belle sensazioni con il turbine dell'irrazionalità). E anche quando "sento qualcosa" non accetto che attimi prima non "abbia sentito" quello che c'era da "sentire". Dentro di me comincio a pensare alla giornata buttata in un modo così assurdo, all'inutilità del mio agire in questo modo ma, al contempo, il mio non averne potuto fare a meno. Inizio a sentir marciare a passi sempre più pesanti la solitudine dentro di me, la voglia di morte, la sensazione che questa grande, grande guerra non avrà mai fine. Poi lui se ne torna a casa, io come un cane vado a prendere il treno immerso in un mondo fatto di letame per poi, solo dopo aver pianto, capire di aver fatto il cretino l'ennesima volta. Comincio a risalire a galla, ma dura poco perché le prossime volte riaccadranno le stesse cose pocanzi elencate.
Stessa cosa accade quando osservo le sue foto o voglio ricordare momenti belli che mi collegano a lui. Temo che, facendolo, non riuscirò più ad intravedere nulla di emozionante. E allora, anche il semplice atto di rivedere vecchie foto o di scavare nei ricordi diventa per me l'ennesima messa alla prova, l'ennesima guerra che la mia irrazionalità mi dichiara. Come è possibile che quest'irrazionalità si sia autonomizzata al punto tale da dover evitare alcune foto o ricordi perché non mi ricollegano più al momento che immortalano, bensì all'angoscia che ad essi associo?
E vogliamo parlare di tutto il resto? Tipo gesti ricevuti, tono di voce, atteggiamenti vari, frasi carine, ricordi, ecc.? Stessa cosa. Quando queste angoscie prendono sempre più forma vado a centellinarli TUTTI e ad arrivare sempre alla triste conclusione che non suiscitano più in me alcuna emozione. Eppure questa conclusione giunge sempre dopo aver riconosciuto in quelle semplici azioni - millesimi di secondi prima - la bellezza che io in loro intravedo...

4 gennaio:
È più forte di me: le mie fissazioni rappresentano il Marco del passato, una losca figura che mi impedisce di crescere e diventare un uomo perché il suo suggerirmi che nulla mai cambierà, mi scoraggia così tanto che comincio a reputare tutto inutile a prescindere. La cosa positiva è che per quanto questo pensiero mi abbatta leggermente, non sta prendendo più il sopravvento come una volta.

8 gennaio:
Tu ti domanderai: quali sono le paranoie più frequenti che ti attaccano durante il contesto sessuale? Cercherò di elencarti LA paranoia, quella dalla quale si districano poi tutte le altre:

- timore di scoprire in Alfio una persona sessualmente egoista che pensa solo al proprio godimento; esistono solo lui e il suo pene. Io fungo da strumento, oggetto di piacere: attraverso le mie azioni mi occupo del suo corpo mentre lui se ne sta sdraiato lì, inerme, senza curarsi di me. Questo comporta, da un lato, un godimento estremo da parte sua, e dall'altro, estrema solitudine da parte mia che, attraverso queste immagini (ovviamente distorte dalla mia irrazionalità), ricevo la cocente mazziata del RIFIUTO.

La mia mente vuol per forza concepire il pensiero secondo il quale Marco è il povero ragazzino che dà con la speranza di ricevere quando in realtà riceve solo rifiuti. La cosa grave, però, è non capire che io e lui abbiamo tempi e MODI diversi di godere. E ancor più grave è non rendersi conto che IO, spesso e volentieri, scelgo di godere METTENDOLO A SUO AGIO (modo di godere che quindi si contrappone al suo che predilige L'ESSERE MESSO A PROPRIO AGIO). Io, PER GODERE, ho bisogno di comportarmi in questo modo. Io, per trarre piacere, ho bisogno di essere sotto questo aspetto più attivo di lui. Ma a prescindere da ciò, è ridicolo affermare di godere principalmente in questo modo (mostrandomi più attivo di lui), maturando però, contemporaneamente, il pensiero irrazionale di sentirmi solo un oggetto che non riceve quanto io do. Ma cos'è tutto ciò, un baratto? E non avevo già lasciato intendere che, benché io adori abbandonarmi a lui, non mi piace che sia con me invasivo tanto quanto io lo sono con lui?
Per la mia mente, chi fa godere mostrandosi attivo e pimpante dimostra di saperci fare, di essere la guida, la colonna portante della coppia, l'anima passionale che travolge se stesso e la persona di cui si occupa. Chi invece "subisce" ha poco spirito di iniziativa, poca passionalità, poca fantasia, e via dicendo. Vedi quanto assurdi sono questi pensieri? Se ci fai caso si fondano su dei preconcetti di coppia tutti maschilisti nei quali l'uomo (Alfredo) dovrebbe essere invasivo attraverso i suoi gesti (e quindi gestirmi alla bene e meglio lasciandomi poco "movimento") e la donna (IO!!), essendo un essere inferiore, dovrebbe subire le porcate del suo compagno che lle dimostra complicità solo asfissiandola con azioni/preliminari invasivi, rudi, brutali. Secondo la mia irrazionalità, la rudezza, la brutalità sono dimostrazioni di passionalità e complicità sessuale e non ne esistono di altre. Tutte le sfumature della passionalità non valgono nulla. Per la mia irrazionalità, fare l'amore significa scandire ogni momento secondo una precisa tempistica a costo di distruggere tutta la naturalezza che in questo contesto dovrebbe fungere da elemento portante. Tutto deve essere o bianco o nero. Tutto è meccanico. Tutto è solo AZIONI che devono svolgersi in maniera impeccabile.
Ecco, in base a tutto ciò vorrei chiarire una cosa: partendo dal presupposto che io non sono una donna, la cosa più importante sulla quale mi soffermerei è che in una coppia NON DEVONO ESISTERE DINAMICHE BASATE SU DEI PRECONCETTI! Ogni coppia, conoscendosi nell'intimità giorno dopo giorno, sperimenta ciò che piace all'uno e all'altro. Di conseguenza, tra me e Alfio non sono mai esistite ste stronzate. La nostra complicità sessuale è sempre stata viva e io non mi sono mai sentito a disagio con lui sotto questo punto di vista, anzi. Conosce cosa mi piace, mi rispetta pienamente e ti dirò... a me basta vederlo anche fermo e immobile per provare un forte orgasmo mentale. A me piace troppo lui, il suo corpo, il suo pene... Se fossi davvero vittima di tutte le cagate suggeritemi dalla mia irrazionalità, pensi che avrei una considerazione così ottima del nostro rapporto? Pensi che mesi fa avrei mai considerato il sesso con lui l'unico contesto in cui potevo stare davvero bene senza paranoie? Ma poi dai... Lui è lo stesso ragazzo col quale faccio le stesse cose da un anno e mezzo. E che non mi si venisse a dire che forse sotto sotto mi sono scocciato di fare "queste stesse cose" perché non avrei, per esempio, voglia di scoparmelo in questo momento. Ma poi non mi emozionerebbe affatto l'idea che il nostro rapporto intimo si sia evoluto così tanto nell'arco di questi anni.
C***o, fare sesso non è stare in ansia, pensare per te e per il tuo partner scervellandoti su cosa vorrebbe ricevere in quel momento da te, ecc. C***o sono/è, una puttana? Fare sesso è anche guidare e lasciarsi guidare, scoprire assieme le vie del piacere proponendo. Se l'uno o l'altro magari danno la parvenza di non "prendere iniziativa", ciò non può voler dire che invece uno dei due si sta infinitamente rilassando? E il proporre di fare determinate cose, invece di equivalere ad un fallimento da parte dell'altro che non ha capito cosa avresti voluto ricevere (sì, perché l'altro dovrebbe saperti leggere nella mente), non potrebbe essere un modo come un altro per far conoscere all'altro ancora di più i tuoi gusti o chiedergli di soddisfare una voglia sorta in quel momento, voglia che non potrebbe di certo soddisfare di sua spontanea volontà perché non può leggere i tuoi pensieri?


17 gennaio:


Mi sento demoralizzato. Io so che gran parte del mio nervosismo di oggi era legato al fatto che mi stessi stuzzicando da un po' con il mio solito autolesionismo di merda. Ancora devo capacitarmi del fatto che i fallimenti sentimentali altrui non devono per forza essere i miei. Ancora devo capacitarmi del fatto che, se esistono persone che hanno inflitto dolore a coloro che amavano, non significa che anch'io potrei essere l'artefice di tali azioni. Devo piantarla di "invitare" negli appuntamenti che ho con Alfio anche la mia irrazionalità, sempre pronta a suggerirmi che qualche nefasta verità sta per essere svelata e che il mio gioco fatto di inganni e bugie sta per terminare... Io non sono così. E né tanto meno esiste una PATOLOGIA secondo la quale, pensando a ciò che più temo (in questo caso, me stesso), il mio timore si paleserà e si scaglierà contro di me a mo' di creatura autonoma. Non c'è null'altro da aggiungere perché ne ho parlato fino alla nausea di tutto questo!


29 gennaio:

Ciò che mi fotte, quindi, non è ritornare ad essere il vecchio
Marco che si autodistruggeva anima e corpo a furia di sopportare gli intrusi che sapientemente creavo. È il suo ricordo che mi spaventa. Anche se per assurdo volessi tornare ad essere la creatura infinitamente debole di qualche mese fa, gli anticorpi che ho ora mi impedirebbero di ritornare a vigere in quello stato penoso. È logico, automatico. È come imparare ad andare in bici, e temere costantemente di dimenticarsi come si pedala. Assodato quindi che è impossibile tornare ad essere la spugna-succhia-problemi di prima, cos'è allora che oggi mi fotte ancora? Beh, semplice: nonostante ci sia la certezza poc'anzi citata, il terrore di poter di nuovo tornare quello di prima continua comunque a farmi star male. Non mi distrugge la consapevolezza di tornare il vecchio me, ma la paura, la remota probabilità che io possa tornare ad essere il vecchio me ricordandomi di quanto all'epoca stessi male.

Un tempo la nostra sessualità era la cosa che più mi rendeva felice, e tutt'oggi la penso ancora così ma... al contempo la temo. Come un'intrusa non desiderata, la mia irrazionalità scandisce, azione dopo azione, ciò che a letto facciamo. Guai se si dimentica di fare una dato preliminare. Guai se si concentra troppo poco su una parte del mio corpo. Guai se i suoi baci sembrano perdere vigore. Guai se si rilassa troppo. Guai se si dimentica che esisto anch'io, e così via. Tutto sembra suggerire: guai se dimostra di non rispettarti, perché se così fosse, perché mai stare assieme a una persona che ti usa? A volte rifletto con enorme amarezza su questi pensieri e penso: come ho potuto far sì che accadesse tutto questo? Se prima c'era qualcosa che della nostra intimità adoravo era la spontaneità. Ora invece ho il costante timore di ricevere rifiuti. E benché io sappia quanto valore abbia il mio uomo e quanto mi rispetti, questo timore continua a risiedere nel mio cervello.



31 gennaio:

Sai chi sono per la mia irrazionalità, per il mio alterego?

- Io sono Marco l'insensibile, quello che inganna inconsapevolmente (?) il suo ragazzo vivendo con lui esperienze che non lo emozionano per nulla, anche se inizialmente lui crede il contrario;
- Io sono Marco il maniaco sessuale, quello che non appena vede un bel fisico maschile tende ad immaginare le porcate più deplorevoli;
- Io sono Marco l'insoddisfatto sessuale, quello che si autoconvince (sempre inconsapevolmente) di star bene a letto col proprio ragazzo, ma che in realtà soffre per il fatto di sentirsi non considerato abbastanza da lui, lui che pur avendo una faccia d'angelo lo usa solo per svuotarsi le palle;
- Io sono Marco il bugiardo, quello che finge di essere l'anima buona che si emoziona di fronte a tutto ciò che lo circonda; quello che pur dispensando sorrisi e paroline dolci cova in realtà sentimenti deplorevoli verso il prossimo; quello che aiuta in maniera disinteressata quando in realtà lo fa per un proprio tornaconto; quello che si commuove per finta pur di dimostrare al suo ragazzo di essere sensibile e fragile; quello che qualsiasi cosa faccia, c'è sempre un doppio fine poco decoroso che tende a celare; quello che finge di essere modesto quando in realtà vive per la vanità e per essere ricoperto di complimenti di ogni sorta;
- Io sono Marco l'inferiore, quello che invidia il proprio ragazzo perché lui possiede tutto quello che Marco non ha, in tutti i sensi;
- Io sono Marco la vittima, l'inferiore, quello che rispetto a tutti (e soprattutto rispetto al proprio ragazzo) non vale niente, e più cercherà di dimostrare il contrario, più nuovi errori, nuovi sbagli dimostreranno quanto sia inutile spacciarsi per una persona valida, quando di questa non si ha nemmeno la parvenza;
- Io sono Marco, il ragazzo che, scrivendo tutto questo, si accorge di quanto fitti siano i suoi problemi e, spaventato dalla loro "maestosità", vorrebbe non essere la persona che è.
8 febbraio:

Come ben sai, le mie paranoie si focalizzano TUTTE sui millemila modi in cui potrei nuocere a Alfio o alla nostra storia. La più recente sai qual è? L'accorgermi inaspettatamente dopo quasi due anni che, stando con lui, non potrò avere altre esperienze sessuali nella mia vita o peggio, non potrò provare l'ebbrezza di concedermi ad uomini sostanzialmente diversi da lui fisicamente (in positivo). Secondo te è mai possibile che una persona che decide razionalmente di stare con un'altra, che la ama e rispetta, vorrebbe passarci l'intera vita assieme e... di punto in bianco si sveglia una mattina rendendosi conto di voler cercare esperienze sessuali nuove da più uomini possibili? È così che poi si manifestano le repressioni? Senza preavvisi o disagi di fondo?

secondo la mia paranoia, essendo io un omosessuale, sono un individuo che più di chiunque altro dovrebbe cogliere tutte le opportunità (sessuali) possibili in un mondo promiscuo come quello gay. Quindi, che grande spreco la monogamia! Perché non concedersi a tutti quei bellissimi ragazzi che non aspettano che me per fottere? In virtù di questo pensiero, sento una fitta nel petto.


Ripeto, già il fatto che io faccia parte "consenzientemente" di una coppia, è un punto a sfavore per le cagate che la mia paranoia elenca.
Ma poi, notiamo la contraddittorietà tipica di queste fisse: fino a poco tempo fa temevo di far sesso col mio ragazzo perché temevo il rifiuto, temevo d'esser considerato solo un oggetto, un ammasso di buchi. Assurdo, vero? Oggi, però, guarda caso sarei il represso che cerca proprio le esperienze sessuali fini a se stesse da cui sono sempre rifuggito. Sì, le stesse esperienze che per quanto soddisfacenti, non mi farebbero per nulla sentire sereno, appagato, riempito interiormente di qualcosa che va oltre il semplice concetto di sesso. Mmmm...
Io, che di solito tendo a cogliere le sfumature più profonde di ogni santa volta che faccio l'amore con Alfio dovrei desiderare invece delle fredde scopate solo perché la mia irrazionalità mi dice che il mio sogno incoscio è fare numero, provare più cazzi possibili, toccare e assaporare nuovi corpi (sì, perché devi sapere che esistono uomini di serie A, ovvero i palestrati, e uomini di serie B, ovvero uomini con fisici più semplici. Non è che ogni uomo, a prescindere dalle fattezze del proprio corpo, si distingue comunque dai suoi simili. Che eresia, la mia!).
Io, che ogni santo giorno cerco di riempirlo di attenzioni anche con la cosa più stupida, che più di ogni altra cosa desidero che il giorno in cui potrò vivere con lui si avvicini sempre di più per passare tutta la vita assieme... vorrei inconsciamente lasciarlo, collegarmi in chat scrivendo "CERCASI PALESTRATO SUPERDOTATO" e andare a fottere in una macchina o in un albergo col primo che capita senza tener conto in primis del fallimento della mia storia (e la distruzione quindi del nucleo familiare che mi stavo creando) e dei sentimenti che attualmente provo per il mio ragazzo che mi spingono automaticamente a provare repulsione per gli altri uomini?
Io che non riesco a concepire come possa soddisfare la promiscuità, io che per fare l'amore devo arrecare piacere al mio compagno guardandolo negli occhi trasmettendogli il mio amore e la mia voglia di prendermi cura di lui, che per concedermi devo sapere di essere stimato e DEVO stimare... come potrei concepire tutto questo?


10 febbraio:


Sono giunto a delle importanti conclusioni, sai?
A volte mi domando perché abbia, per tutto questo tempo, continuato a torturarmi senza sosta. Ci sono voluti mesi e mesi di cadute, di botte, di dolore per arrivare a rispondermi in maniera decente, e alla fine sono giunto a formulare una mia teoria.


Le mie paranoie si basano tutte sostanzialmente su contraddizioni continue che tentano di mettere in crisi ciò che penso, ciò che faccio, ciò che sento.
Le mie paranoie, altre volte, si servono di pensieri e certezze della persona che un tempo ERO per macchiare il mio presente con nozioni che, proprio perché appartengono al mio passato, non avallo più oggi.


Sarebbe quindi inutile sperare di star bene perché i miei mali interiori invaderanno prepotentemente il tempo che passo con/senza il mio ragazzo:
- se non sto con lui, posso passare sia una giornata piacevole che non. Quando la giornata non la passo piacevolmente, è perché mi sono fatto influenzare da qualche paranoia che mi porterà a covare sensi di colpa assurdi;
- se sto con lui, posso passare sia una giornata piacevole che non.
Se tutto fila liscio, tanto di guadagnato. Ma quando torno a casa potrei cominciare di nuovo a farmi del male; in questo caso le mie paranoie andrebbero ad intaccare gli elementi più freschi che mi collegano alla sua persona (per esempio, i ricordi). Da quel momento in poi, in un qualsiasi perverso modo, comincerei a "macchiarli" di negativo nonostante io conservi di loro un buon ricordo.
Se durante l'uscita DECIDO di farmi del male, la sensazione che provo è qualcosa di simile al sentirsi morire dentro. L'unica cosa che mi verrebbe spontaneo fare è scappare da lui per rifugiarmi allo scuro, pensando e ripensando in continuazione ai danni che ho creato, a martellarmi il cranio riflettendo su quanto quei contenuti che mi hanno distrutto il tempo trascorso con lui avessero fondamenta reali o meno.


Conclusione?
È sempre un gioco a perdere.
Alla fin fine, mi creo sempre e comunque trappole pronte a "catturarmi" in qualsiasi momento, circostanza, evento.


Fino a qualche tempo fa, come ben sai, attribuivo le colpe di tutto questo inferno interiore
- a un'ipotetica malattia mentale che stava prendendo su di me il sopravvento, malattia che stava rendendo autonomi i miei mostri interiori quasi avessero un proprio cervello, e quindi, il comando sulla mia persona;
- a una cattiveria repressa che ho sempre teso a celare per non compromettere la mia immagine esteriore di santarellino sofferto e patito
- a entrambi i due punti poc'anzi citati


Poi, dopo molto faticare, sono arrivato alla conclusione di esser stato IO sin dal principio l'artefice di tutto.
- Io, da bambino, cominciai ad essere l'artefice della fissa secondo la quale volevo offendere e riempire di parolacce tutto e tutti, senza motivo, specialmente persone scomparse;
- Io, da ragazzino, cominciai ad essere l'artefice della fissa secondo la quale più tempo avrei passato da solo con me stesso e più i miei mostri interiori mi avrebbero distrutto;
- Io, da ragazzino, cominciai ad essere l'artefice della fissa secondo la quale più pensavo con estremo terrore alla perdita perpetua del sonno, e più per davvero non riuscivo a dormire la notte spaventato da ciò;
- Io, da ragazzo, cominciai ad essere l'artefice della fissa secondo la quale ero un pervertito necrofilo incestuoso;
- Io, da ragazzo, cominciai ad essere l'artefice della fissa secondo la quale più pensavo al prurito, e più credevo che questo avrebbe cominciato a devastarmi fisicamente senza sosta per sempre;
- Io, da ragazzo, cominciai ad essere l'artefice della fissa secondo la quale ero un orribile peccatore di Dio, un profanatore dei suoi nobili princìpi. Persino masturbarsi era qualcosa di osceno agli occhi di Nostro Signore. Persino non scrivere nomi sacri con la maiuscola era segno di non rispetto nei suoi confronti;
- Io, da ragazzo, cominciai ad essere l'artefice della fissa secondo la quale ero un pezzo di merda, un figlio snaturato che, vedendo la disabilità della propria madre, lasciava che si formassero nel suo cervello le frasi più orribili volte a ridicolizzare la sua diversità fisica;


Sì, l'artefice di tutto. Queste sono state solo le paranoie principali che hanno accompagnato la mia "gioiosa" adolescenza. Fidanzandomi col mio ragazzo, cosa mi aspettavo? Che l'incubo sarebbe finito? Ovvio che no. Sin da piccolo, da quel che vedi, ho sempre teso a crearmi trappole da cui non avrei potuto di certo salvarmi. Perversamente e, cosa ancor più assurda, inconsciamente, ho sempre costruito i mattoni della mia esistenza abbattendoli subito dopo. Era un continuo fare un passo avanti e cinque indietro. In me è sempre esistita l'esigenza di volermi fare del male sentendomi colpevole di qualcosa. Ho sempre sentito la necessità di attribuirmi gli appellativi più terribili. Non c'era nulla da fare: dovevo arrivare a fine sera con qualche senso di colpa che non avrebbe dovuto darmi pace nei giorni a seguire. Credimi, era terribile vivere così.
Eppure, perché oggi, rispetto a tanti anni fa, sembra che le paranoie attuali siano più forti quando in realtà, per certi versi, non sembrano poi così esagerate?


La risposta è una: se prima il massimo dell'autolesionismo consisteva nel crearmi paranoie che mettessero in crisi la mia persona, oggi, essendo fidanzato, questo massimo è tutto proiettato sul ledere chi mi sta più a cuore: Alfio, quindi.
Fare del male a chi amiamo è molto più doloroso del fare del male a noi stessi, dopotutto.


Benché tante siano le cose cambiate e io sia più forte di qualche annetto fa, l'impressione che colgo dalle paranoie odierne è ben peggiore rispetto a prima. Sì, perché se un tempo distruggere la MIA persona avrebbe recato del male soltanto a ME STESSO, le paranoie attuali mi suggeriscono invece che oggi io potrei fare del male AGLI ALTRI, a Alfio. Se distruggessi me stesso, soffrirei ma... vogliamo paragonare questo dolore a quello che proverei qualora distruggessi una vita che non è la mia? O meglio, la via della persona che mi sta più a cuore?
Ecco che allora vivere con serenità è difficile perché ogni mio comportamento, ogni mia azione, ogni mio pensiero vengono costantemente presi in analisi dalla mia irrazionalità, centellinati all'ennesima potenza fino a farmi SEMPRE E COMUNQUE giungere alla conclusione che c'è del marcio in qualsiasi mio gesto o pensiero.

Poi l'illuminazione: se sin dall'inizio non avessi preso sul serio TUTTO quello che di irrazionalmente losco e perfido balenava nel mio cervello, questi cattivi pensieri non si sarebbero presi, come si suol dire, il dito con tutta la mano. Come se fossero semini, li ho trasformati, giorno dopo giorno, in cespugli di rovi e piante rampicanti, a furia di credergli, di farmi plagiare dai loro contenuti. È come un circolo vizioso, tipo la droga; cominci da poco, poi il tuo corpo ne necessita sempre di più. Stessa cosa accaduta a me: ho cominciato, come mio solito, a farmi condizionare da qualche pensiero che pian piano metteva in discussione le mie piccole grandi certezze (e gioie); credendo volta dopo volta a questi mostri che intanto spianavano il loro fruttuoso terreno, non è stato poi così difficile lasciarsi INTERAMENTE seviziare dalla loro gigantesca forza fino a diventarne schiavo.
"Gigantesca forza".
Ma chi gliel'ha data? Ovviamente io.
Stando alla tesi secondo la quale IO sono l'artefice della loro evoluzione da semplici pensieri irrazionali in mostri autonomi e indipendenti, IO li ho resi nemici imbattibili. Io ho dato loro quelle portentose caratteristiche che tanto mi spaventano. Io ho dato loro un'importanza tale da farli sembrare i mille alter-ego della mia persona, un'importanza tale da rendere il loro creatore (io) un loro suddito.
Ignorare questi pensieri potrebbe significare... liberarsene! Ma non è così facile. Ignorare per me significa (purtroppo) ancora avere dei conti in sospeso con quel pensiero; significa essere scappati come codardi, non aver affrontato la questione in corso; significa coltivare sensi di colpa che FORSE si placherebbero se mi scontrassi con quel pensiero; significa trascorrere la giornata col pensiero fisso di non essere del tutto sereno perché c'è qualcosa che sto volutamente ignorando, qualcosa che rappresenta per me un fastidio di cui dovermene liberare.

Cosa accade, allora? In virtù di tutto questo, NON ignoro ciò che invece dovrei ignorare e... ricado, come sempre, nel circolo vizioso di cui ho parlato prima. Ed ogni qualvolta che persevero nel voler spiegare a me stesso le stesse, identiche cose di ogni sacrosanto giorno, mi accorgo sempre di più di quanto tempo io stia sprecando perché...
Marco è disposto a capire solo quando di base c'è la predisposizione a volerlo fare. Ma quando voglio per forza attribuirmi i titoli più orribili, posso anche spiegare lo stesso concetto 100 volte e in 100 lingue diverse:
Marco non lo capirà mai, e quell'ansia, quell'angoscia, quel senso di colpa che lo divorano, continueranno ancora a logorarlo dentro.

Triste, vero? Più volte mi sono definito stanco di soffrire, di patire. Ma in realtà, quanto di concreto ho fatto affinché io mi potessi liberare di queste problematiche anziché crearne di nuove? Nulla. Chi è realmente stanco di certe situazioni, ci mette un punto definitivo sopra. Io invece, imperterrito, dimostro di avere energie da vendere, energie che però investo malissimo perché le impiego tutte quante a focalizzarmi su mondi immaginari quanto terribili.
Vivo con l'ansia di una casalinga maniaca dell'ordine che, senza fermarsi neanche un attimo durante la giornata, non fa che pulire dovunque, vedere lo sporco insidiarsi dappertutto secondo dopo secondo, temere che la sua casa linda e pinta possa sporcarsi di nuovo in qualsiasi frangente.
Sì, il mio cervello è proprio come una casa. Le mie paure sono lo sporco che si accumula (o meglio, lo sporco che IO credo si stia accumulando, oppure lo sporco che IO voglio vedere anche laddove non c'è). Io sono la casalinga impazzita.

Se investissi meglio le mie energie, ma soprattutto, se le investissi per fare dell'altro, per fare del bene alla mia persona, hai voglia di quanti benefici potrei godere. Sono convintissimo di questa cosa perché in me qualcosa di positivo si è smosso verso la fine del dicembre scorso e non sarei arrivato a questo genere di conclusioni se non avessi sperimentato dopo tanta fatica il bello della vita. È facile, facilissimo desiderare una vita più serena, fatta di tante belle cose e bla bla bla. Ma ciò che si vuole bisogna conquistarselo. Ed io, cosa cazzo faccio per conquistare quel che voglio? Io DICO di volere un'esistenza più gradevole ma in fin dei conti, la forza dell'abitudine (o meglio, delle vecchie, cattive abitudini) mi porta sempre a pensare a ciò che non dovrei pensare; questo perché, fondamentalmente, per quanto forte sia la mia voglia di vivere, vivere mi spaventa, e farmi distruggere dalle mie paranoie, per quanto nocivo sia, è un comodo modo per rimandare al DOPO l'atto del vivere; è una scorciatoia per eludere le responsabilità che alla mia età dovrei assumermi; è fuggire.

Io vivo senza logica, senza razionalità. Ecco perché sono una preda facile dei miei cattivi pensieri. Non avendo né fiducia in me stesso né un minimo di compostezza interiore, è ovvio che io creda a tutto ciò che di negativo si crea nel mio cervello, anche alle cose più assurde per logica e natura.
Il fatto che io non desideri più la morte e il fatto che la depressione non sia più per me la tana in cui rifugiarmi quando sento la morte scorrermi dentro, è un gran risultato. Questa morte di cui parlo, tra l'altro, non la sento neanche più. Oggi cedo ancora, con Alfio, senza Alfio. Ma non me lo pongo più il problema. Perché focalizzarsi sempre sulle solite stronzate o sulle nuove che potrebbero nascere? Sarebbe come parlare al vento. Sarebbe continuare a comportarsi come la casalinga isterica. Quindi, non do più a questo caos interiore la stessa importanza che gli attribuivo prima. Il mio tempo è troppo prezioso. Certo, sono sicuro che quando dovrò trovarmi di fronte alle mie paure (perché ritorneranno eccome), tutte queste belle parole andranno a farsi fottere... o forse no? Ad ogni modo, ho constatato che anche l'atto di imprimere su carta ciò che sento mi è stato e mi è di grande aiuto; quindi, il poter LEGGERE i miei pensieri mi ha aiutato e potrebbe ancora aiutarmi a fortificarmi e a non lasciarmi schiacciare come un tempo da me stesso. Grazie a questo espediente, mi sento ascoltato. Tu dirai "da chi?". Io ti rispondo "da me stesso", e credimi, per quanto possa sembrare inutile, per me è una fra le soddisfazioni più grandi. Non mi sono mai ascoltato fino in fondo e solo da poco ho cominciato a farlo. Bene, il mio obiettivo è continuare a farlo. Bisogna avere pazienza e tanta fiducia nel cambiamento.


20 febbraio:



Ti faccio un esempio, prendendo in considerazione un mese a caso e paure a caso. Ecco come si svolge:


2 gennaio: "Paura del tradimento"
3 gennaio: "Passata la paura del tradimento; Insorgenza della paura di non amare più"
4 gennaio: "Sviluppo della paura di non amare più"
5 gennaio: "Disperazione, dubbi circa la nostra storia, distruzione delle mie certezze interiori"
6 gennaio: "Apatia, tristezza e tormenti"
7 gennaio: "
Marco si rialza; nel frattempo cerca nuovi modi per torturarmi, ma prevale ancora l'ottimismo da "rialzo post-ricaduta"
8 gennaio: "Ottimismo riacquistato;"
9 gennaio: "Ottimismo perduto; insorgenza della paura di essere insoddisfatto sessualmente; sconforto dato dal fatto che questo timore sembrava nei giorni passati ormai debellato, ma non è stato così"
10 gennaio: "Sviluppo della paura di essere insoddisfatto sessualmente, collegata al fatto di poter essere un traditore"
11 gennaio: "Disperazione, dubbi sulla mia fedeltà, distruzione delle mie certezze interiori"


e cosi via... Avrei potuto prolungare l'elenco infinitamente. Sarebbe stato sempre e comunque un continuo chiudere buchi mentre se ne riaprivano altri, senza sosta, proprio come una casalinga impazzita (esempio già fatto precedentemente).
Ti rendi conto di quanto stressante sia vivere così? Di quanto anormale io mi senta? Di quanto frustrante sia vedere come Alfio e tutti gli altri fidanzati del mondo riescano ad essere naturali al 100% con il loro partner mentre io no? Il fatto è che rifiutandomi di voler davvero vivere, decido di attrarre a me tutte le insicurezze e paure più illogiche di sempre.



I successi del mio ragazzo sono un po' anche i miei, partiamo da questo presupposto. Il problema è che, però, i suoi successi NON sottolineano quanto anche io voglia averne di simili o quanto io rosichi perché piacerebbe anche a me sentirmi così arrivato. NO. Irrazionalmente, i suoi successi mi fanno sentire ai suoi occhi ancora di più uno stupido, un essere privo di quelle qualità che potrebbero farmi assomigliare a lui e sentirmi più meritevole di stargli accanto. Quei successi, qualora dovessi anche io raccoglierne, mi renderebbero più sicuro e fiero di me e quindi... pari a lui! Di fatti, quante volte mi sono sentito una nullità rispetto alle grandi cose che ha fatto. E non è mica la prima volta; il mio senso di inferiorità non è mica nato con lui. Ce l'ho da sempre, con tutti. Ho sempre gioito per i successi altrui, per i successi di Alfio, ma nel frattempo la loro, la sua gioia - per quanto mi rendesse sereno - lasciava in me un vuoto, un vuoto pieno di domande...

"Chi sono io?"
"Avrò mai occasioni simili?"
"Sarò mai in grado di arrivare anch'io così lontano?"
"Mi sentirò mai uguale agli altri?"
"Perché non riesco a rimboccarmi le maniche come hanno fatto loro e mi conquisto un posto in questa società?"
"Cosa proverei qualora anch'io avessi la stima e l'orgoglio di tutti?"
"Farò mai qualcosa di importante nella mia esistenza, qualcosa che lascerà il segno, che mi farà distinguere dagli altri, o sarò la solita ameba di sempre?"
"E se mi facessi da parte dando alla sua persona l'opportunità di conoscere una persona più intelligente e meritevole di stare al suo fianco?"


Queste domande mi tormentano, mi fanno apparire come il mostro che FINGE di essere orgoglioso del proprio partner quando in realtà cova solo risentimento e astio per lui che ha avuto la FORTUNA di essere superiore rispetto al qui medesimo sotto tutti i punti di vista.
In realtà, come ho detto prima, non stanno così le cose. Dovrei abituarmi all'idea di essere alla pari di Alfio, ma non ci riesco. Ogni giorno lo vedo sempre di più crescere, maturare, andare avanti, attraversando una miriade di problemi e non lasciandosi schiacciare (come invece faccio io) da questi. E più lui va avanti, più a me pare di rallentare il passo, di vederlo sempre più distante da me. Di certo, il mondo non può fermarsi perché
Marco vuole fare il bambino capriccioso che non vuol crescere poiché ne ha paura. Eppure non ci posso far nulla. Ho paura di andare avanti. Capisci? Dico 'rallentare il passo' perché per quanto lo ami, ho sempre avuto l'impressione di doverlo rincorrere senza mai raggiungerlo. Quanto mi sarebbe piaciuto sin dall'inizio sentire le nostre mani legate dal senso di parità. Invece, è sempre stata ed è ancora una corsa.

"Sarò mai simile a lui?"
"Pur sapendo di essere persone differenti e di dover cercare una MIA identità, perché mi ostino a volergli somigliare?"
"Nonostante io sappia di essere da lui stimato, perché irrazionalmente sento di essere trattato con compassione e pena?"
"Farò mai qualcosa di davvero importante ai fini di renderlo davvero FIERO di me?"
"Crescerò mai? Sarò mai un uomo quanto lui?"
"Perché più va avanti e più io sento di non poter competere con la sua persona?"
"E perché parlo di 'competizione'? Mica stiamo partecipando ad una gara?"


Non potrei mai parlargli di tutto questo approfonditamente perché temo potrebbe pensare che io lo invidi, o peggio, potrei risultare così patetico e ancora più infantile del solito al punto tale da destargli... pena.
Irrazionalmente mi sento da sempre un incompetente ai suoi occhi, un idiota che a stento sa costruire una frase di senso compiuto, un poverino che si illude un giorno di diventare qualcuno quando in realtà farà solo il bidello, se avrà fortuna.
Mi immagino già il giorno in cui (e lo spero col cuore) avrà un impiego, quello che sogna. E poi immagino me, disoccupato. Anche in quel caso mi frulleranno per la testa gli stessi pensieri di oggi, e io mi sentirò terribilmente in colpa. Da me stesso sarò accusato d'essere un invidioso, quando in realtà gioirò per lui, gioirò però con il dispiacere di non aver ottenuto anche io quello che avrei sperato di avere in vita: delle soddisfazioni personali che mi avrebbero reso una persona valente tanto quanto lui, gratificazioni che mi avrebbero reso indipendente per la prima volta.
Lo osserverò, e penserò ad un Alfio che si è meritato appieno quel bel lavoro che avrà; un
Alfio che avrà faticato molto, sacrificando tanto tempo libero in gioventù per crearsi il suo avvenire. Poi osserverò me, e non potrò far altro che reputarmi ancora una volta un peso, un essere inutile che non ha concluso nulla in vita, che sperava di somigliare agli altri quando in realtà si è soltanto illuso. Non ci sarebbe stato un avvenire per lui. Sarebbe rimasto quel ragazzo troppo cresciuto, chiuso nel suo mondo fatto di invenzioni terrificanti, mostri che per quanto si fossero forse messi da parte durante la sua crescita, avrebbero continuato ad esserci comunque, fino a farlo sentire ancora a distanza di anni un fallito rispetto al suo compagno. Mi tormenterà il pensiero di aver vissuto inutilmente sperando in qualcosa di buono, mi odierò e ingiustamente odierò tutti, soprattutto
Alfio perché, nonostante cercherà di capirmi, ai miei occhi sarà visto come il fortunato che prova compassione per chi non ha avuto grazie dalla vita. Poi tornerò ad odiarmi ancora di più per aver pensato quella cosa, per aver messo in discussione il reale dispiacere che avrà sentito nei miei confronti, vedendo il suo compagno soffrire. E come sempre, il pensiero di lasciarmi morire ricomparirà come ha fatto sempre in momenti di enorme sconforto e frustrazione come quello.


So benissimo che prima di essere parte integrante di una coppia, sono soprattutto un individuo che deve vivere per essere fiero di se stesso sempre e comunque attraverso successi ed insuccessi raccolti durante il proprio percorso. Eppure mi fa male pensare ad un
Alfio che poco a poco, all'aumentare dei suoi successi, dimentica chi sono, lasciandosi trasportare dalla scia della fama. Io, che ho sempre concepito la vita come il dover essere quasi l'ombra di qualcuno perché temo l'indipendenza, probabilmente soffrirei qualora dovessi assistere all'affermazione totale dell'indipendenza altrui, la SUA. Mi spiego: vederlo diventare un uomo maturo e forte mi renderebbe felice, ma irrazionalmente sentirei la solitudine pervadermi. E sbaglierei. Non ci si fidanza per avere qualcuno da cui dipendere. Quindi, mi pare chiaro che non voglio che lui dipenda da me. Mi rende sereno e felice il fatto che io sia il suo pilastro, ma VOGLIO prima di tutto che il suo principale pilastro sia lui stesso. Io, invece, non riesco a concepire la mia esistenza considerandomi il pilastro di me stesso, ed è per questo che mi appoggio agli altri. Quindi, mi pare ovvio che irrazionalmente starei male qualora dovessi vederlo "allontanarsi" da me, abbandonandosi alla gioia delle sue soddisfazioni personali. Sì, perché fondando la mia "utilità", la mia autostima sulla buona considerazione che lui ha di me, il vederlo immerso in un mondo in cui io non c'entro nulla mi farebbe sentire abbandonato, dimenticato, passato in secondo piano. Ma ci tengo a ribadirlo, sono pensieri irrazionali perché io non voglio essere il centro del suo mondo fino a questo punto. Assolutamente no.


25 febbraio:




Credimi, è davvero frustrante. Che darei per essere come loro, come Alfio stesso. Lui, quando mi vede, mi dimostra un amore senza eguali e lo fa a mente sgombra dai pensieri autodistruttivi che invece torturano me. IO devo sempre convivere con quest'ansia di pensare che in qualsiasi momento non mi emozionerò più di fronte a un suo sguardo, frase, gesto; IO dovrò sempre sopportare l'idea che, seppure il tempo speso con lui possa essere di qualità, una volta solo, questo mostro creato da me spunterà dal nulla all'improvviso, pronto a costringermi ad analizzare le recenti esperienze vissute e a farmi trovare in esse l'eventuale inghippo.
Da quel che vedi, è un gioco a perdere.


- Sto bene con lui? DOPO, come mio solito, mi chiuderò in me stesso e spunterà fuori la domanda: "Ma ti sei davvero emozionato? Se la risposta è sì, se ora tu ricordassi ciò che hai appena vissuto, ti emozioneresti ancora o hai già dimenticato le belle sensazioni provate?"
- Sto male con lui? Inizio a torturarmi, a sperare di tornare subito a casa per tuffarmi nel letto a piangere.

NON MI SENTO LIBERO!
MI SENTO VIOLATO DA ME STESSO!
È INGIUSTO TUTTO QUESTO!

Ho creato una miriade di mostri che invadono la mia esistenza e i momenti che in teoria dovrebbero essere i più belli da vivere nel massimo del relax! Ho avuto la fortuna di trovare uno splendido ragazzo, e io cosa faccio? Vivo in questo stato di folle frenesia ogni santo giorno.

A causa di questo timore orribile, ho creato la famosa teoria secondo la quale, ogni attimo speso con lui viene analizzato dalla mia mente quasi fosse un compito in classe.
Immagina una linea retta. E immagina me, che vivo in uno stato d'allerta costante.
La linea retta è il tempo che passo con lui, e questo mio timore mi suggerisce che prima o poi questa linea verrà cosparsa di punti neri. Cosa sono questi punti neri? Le "verità" suggeritemi dalla mia irrazionalità, vere e proprie sentenze che non solo mi turbano, ma minano l'equilibrio di questa linea retta. E così, vivo senza naturalezza. Trascorro con lui il mio tempo pensando che, se dovessi abbassare per un attimo la guardia, le mie paure saranno pronte a sbranarmi alle spalle a mo' di lupi feroci. Quando cedo, si crea il primo puntino nero su questa linea. Io lo osservo e comincio a soffrire, perché quell'elemento, per quanto io ne comprenda la fittizia natura, ha il potere di generare in me l'ansia secondo la quale potrebbe aumentare il suo volume, fino a saturare tutto lo spazio che rimane della mia linea temporale (le ore che mi rimangono da trascorrere con Alfio). Allora, freneticamente, penso che non posso ancora una volta cedere, e quindi SFIDO stupidamente le mie ansie, intimandole ad andarsene... e faccio peggio. Sì, perché lottare contro qualcosa che non esiste concretamente, dove può mai portarti? Pian piano vedo la linea riempirsi sempre più di nuovi punti neri, mentre quelli di prima accrescono la loro consistenza. Durante quel frangente, mi passano davanti agli occhi altre linee del tempo, le mie esperienze passate, e comincio ad intravedere anche in loro il marcio che magari non ho mai voluto vedere. Ed è terribile.

Il mio errore è pensare di essere braccato, spacciato. Il mio errore è quello di credere che le paure da me generate siano esseri autonomi che, volta dopo volta, incrementeranno la loro dose di cattiveria gratuita nei miei confronti e che distruggeranno a poco a poco tutto quello che di caro posseggo. Io sono il loro creatore, e io ho dato loro la caratteristica di diventare sempre più ingestibili man mano che cedo ad esse. Capisci? Io, per puro masochismo, ho creato mostri imbattibili per il puro gusto di vedermi sconfitto. Perché non sono stato l'artefice, l'inventore di ben altro? Perché ho dovuto creare il mio stesso nemico? Ma soprattutto... perché ho fatto questa fine?

26 febbraio:

Quelle che io chiamavo "paura di essere insensibile ai sentimenti altrui", "paura di riscoprirmi insoddisfatto sessualmente", "paura di desiderare altri uomini", ecc ecc, altro non erano cheUNA sola paura, la più terribile: la paura di vivere.
Ho combattuto per due anni coi contenuti che queste paure mi trasmettevano. Benché questi contenuti fossero così diversi tra loro, guarda caso le loro dinamiche sembravano sempre identiche. Purtroppo questo non mi bastava per star meglio. Non ero ancora pronto a capacitarmi di questa grande consapevolezza. Di fatti, finivo di fissarmi su una paranoia e ricominciavo con un'altra. E così via, ininterrottamente.
Pensavo: "come posso credere che questa paranoia dica il vero se razionalmente mi sono comportato in maniera del tutto opposta?" Eppure, nonostante dicessi una gran cosa, io rimanevo impalato nel mio mondo fatto di lugubri pensieri, timori, angosce di ogni sorta.
Credevo di essere davvero diventato insensibile di fronte ai mille gesti di Alfio, o credevo davvero di non essere più attratto da lui, o di desiderare addirittura fare sesso con altri uomini, e così via. Eppure, come facevo a credere a queste assurdità se i miei desideri erano l'opposto?
Come potevo risultare insensibile alle sue attenzioni se poi desideravo che me ne desse? Come potevo pensare di essere attratto da altri uomini se desideravo fare sesso soltanto con lui? E in virtù di questo, come pensavo di sentirmi insoddisfatto sessualmente se la mia libido era ossessionata dal suo corpo visto come UNICO oggetto sessuale?
Ovviamente, potrei riportarti contraddizioni simili a bizzeffe ma ho preferito scegliere quelle più frequenti, quelle più esplicative.


La mia logica era avallare determinate tesi ma, nel concreto e del tutto razionalmente, comportarsi in maniera opposta.


Io voglio vivere ed essere felice e realizzare questo sogno non sarebbe un'impresa così ardua, anzi. Il mio concepire la vita come un eterno soccombere, però, mi porta a temere la serenità in quanto la reputo... effimera. È come se destasse sospetti nella mia persona; è come se ne intravedessi il marcio, l'ambiguità. Questo mi spinge ad avere paradossalmente ansia di star bene. Provo dolore nello star male, ma sto peggio se sto bene. Quindi, la paura che prima o poi quella serenità possa rivelarsi una fregatura, mi fa agire sconsideratamente... e mi creo quindi mille pretesti per rovinare quel momento di beatitudine. Conseguenza? Cado nel baratro e mi dispero. Almeno, però, quella disperazione mi consola perché mi è familiare perché ne conosco le dinamiche.



Ricordi l'esempio del tempo visto come linea retta? Ecco. Ho mandato a puttane la naturalezza dei miei momenti con Alfio covando le ansie più assurde. Proprio come se considerassi il mio 'alter-ego' una persona a se stante, mi sono accorto di avergli attribuito così tante caratteristiche al punto tale da accorgermi che... possiede ormai un suo carattere, un carattere col quale mi scontro ogni santo giorno per la nostra incompatibilità. Ed è assurdo. Questo 'mostro', questa entità... SONO IO! Io non posso celare in me stesso un essere a parte con un suo carattere. Il fatto di aver dato troppo corda sin dall'inizio alla mia paura di vivere e ai timori che da questa sono sorti mi ha fatto diventare 'schiavo' di questa personalità creata da me... Cioè, IO HO PAURA DI ME STESSO, DELL'ANTAGONISTA GENERATA DA ME! Come si può vivere temendo ciò che non esiste?

Ti faccio un esempio.

Pomeriggio con Alfio.
16:35 - Chiacchiero con lui vivacemente e mi accorgo di star bene
16:37 - Mi accorgo di stare fin troppo bene. Credendo di essere 'osservato' dal mio mostro interiore, comincio a temere che si sia accorto del mio sentirmi a disagio: "ho paura perché sto fin troppo bene; non è che questo momento di serenità possa finire da un momento all'altro?"
16:38 - Benché sappia di non poter dipendere da ciò che non esiste, temo comunque lo stesso la perdita della mia serenità, delle mie certezze quindi. Comincio dunque a filtrare la realtà che mi circonda con irrazionalità, perdendo il controllo
16:39 - Decodifico diversamente la realtà dal modo sereno in cui lo facevo 4 minuti prima. Ora sembra che io sia totalmente un altro e la disperazione di non riconoscermi nelle vesti, la delusione di non stare più bene come prima, mi getta nello sconforto più totale

16:50 - Cerco di calmarmi, e ci riesco. Mi godo nuovamente la mia meritata serenità. Quando mi accorgo di nuovo però di stare fin troppo bene, ricomincia il perverso gioco dell'autodistruzione.

Vedi? In passato, quando la mia vista cominciava ad annebbiarsi totalmente, da grande mongoloide credevo a quanto vedevo. In realtà, più consideravo la vita come una lotta all'ultimo sangue contro coloro che minavano la mia serenità (esseri che poi creavo io), più il pensiero di perderla mi distoglieva dal contesto che vivendo creandomi attorno vuoto e panico.
Come facevo a credere ai nuovi (orribili) contenuti se fino a 4 minuti prima decodificavo il mondo in una maniera totalmente diversa?
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Paura di vivere e di distruggere la mia relazione :: Commenti

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Messaggio Gio 8 Nov 2012 - 9:59  perplessa

Ciao Marco, non sono riuscita a leggere tutto il tuo post, non perchè sia troppo lungo ma perchè dopo un pò che leggevo mi sono persa, nei passi del tuo diario tu ti sfoghi e scrivi le cose che ti vengono in mente in quel momento, secondo me devi continuare a scrivere ma non a rileggere... fai uscire tutto quello che hai dentro, la tua situazione non è affatto facile, non hai avuto una bella adolescenza, ma comunque sei giovane e questo ti deve dare la forza e la convinzione che x te c'è qualcosa di meglio nel mondo... se nella tua vita di adesso ti senti male e tutto ti riporta alle sofferenze del passato prova proprio a dare una svolta drastica, trasferisciti da un'altra parte e ricomincia una nuova vita, la tua, non quella dei tuoi genitori... conosci persone nuove che non sanno niente di te e che ti accettano x come sei, sarai tu poi che deciderai se raccontare loro le tue paure e insicurezze o se continuare a segnarle nel diario... continua a scrivere però, io penso che ti aiuti veramente, non c'è persona estranea che può capire la tua situazione, solo tu lo puoi fare...
Ti auguro tutto il meglio, vivi l'amore che hai con felicità e vedrai che il tempo ti aiuterà a guarire le tue ferite... un abbraccio virtuale...

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